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giovedì 30 dicembre 2010

Poveri, noi



Tema del libro è il bilancio di un Paese fragile, che non ammette di esserlo. Fragile socialmente, in primo luogo, segnato da forme sommerse di deprivazione, di vera e propria povertà, e soprattutto d’impoverimento. Ma fragile anche moralmente, nella tenuta dei suoi sentimenti collettivi, dei valori condivisi, nell’atteggiarsi delle relazioni, sempre più spesso attraversate da venature di rancore. E, naturalmente, fragile politicamente, nell’assetto «liquido» delle sue istituzioni, nei processi in cui si esprime una cittadinanza in larga misura lesionata. Un Paese abissalmente distante dall’immagine che offre di sé, dal racconto apologetico che monopolizza il discorso pubblico sovrapponendosi alla realtà fino a renderla irriconoscibile ai propri stessi protagonisti.
Marco Revelli, Poveri, noi
***
Dal 2007 a capo della Commissione d'indagine sull'esclusione sociale, Marco Revelli scava tra le pieghe del processo di «modernizzazione regressiva» che sta caratterizzando il nostro Paese, che ha creduto di crescere declinando, di guadagnare posizioni perdendo in realtà terreno.
Una Vela che esplora le fragilità - economiche, morali e politiche - di un'Italia «abissalmente distante dall'immagine che offre di sé»: un'argomentazione sostenuta da dati statistici e dall'analisi del linguaggio del potere e della comunicazione mediatica - dai messaggi rassicuranti all'opulenza ostentata. Emerge il ritratto di una nazione dal profilo piatto, che ha liquidato i vecchi punti di forza senza crearne di nuovi e dove ci si ritrova, «se non più poveri tecnicamente, certamente più vulnerabili e arretrati», nel mezzo di una terra di nessuno in cui maturano, o trovano terreno fertile, le frustrazioni e i veleni, i risentimenti e i rancori, le rese morali e i fallimenti materiali. Solitudini e crisi d'identità in grado di sfregiare l'antropologia del nostro paese, tra intolleranza per i deboli e il simmetrico eccesso di tolleranza per i vizi dei potenti. Al centro della forbice sempre più ampia tra ricchezza e povertà, i temi cruciali dell'eguaglianza sociale, della qualità della democrazia, dell'indebolimento dei diritti e del concetto di cittadinanza.

Bob Kennedy sul PIL

martedì 21 dicembre 2010

Italiani più generosi: aumenta il volontariato

Scritto da Pasquale La Torre – 21 dicembre 2010 – 12:00
Popolo di santi, poeti, navigatori e si potrebbe aggiungere di volontari. Le ultime stime infatti registrano una crescita costante delle associazioni di volontariato.

La sistematizzazione delle banche dati dei 72 Centri di servizio al volontariato aderenti al Csvnet (Coordinamento nazionale centri servizi al volontariato) ha fornito un primo dato dal quale risulta che le organizzazioni di volontariato operanti in Italia sono 42 mila, di queste 27 mila sono iscritte ai registri regionali secondo le norme che disciplinano la materia. L’ultima rilevazione era stata effettuata nel 2006 dalla Federazione italiana di volontariato; si contavano 35 mila organizzazioni e si registrava una tendenza in costante crescita.

Nell’ambito di un campo d’applicazione così dinamico e poco istituzionalizzato come il volontariato, i risultati della rilevazione Csvnet, per essere in linea con i criteri statistici, devono essere ancora filtrati attraverso la sistematizzazione delle banche dati dei Centri servizi.

Questo proposito nasce a margine della decima conferenza nazionale di statistica dell’Istat che si è svolta a Roma il 15 e 16 dicembre. La prima sessione dell’iniziativa è stata dedicata proprio al volontariato, in linea con gli obiettivi dell’anno europeo 2011: valorizzazione dei giovani volontari, sburocratizzazione delle attività, sensibilizzazione attraverso i mass media.

In merito alla scelta fatta dall’Istat, il presidente del Csvnet, Marco Granelli, in un’intervista risponde “è un segno molto positivo, specie in un momento in cui il volontariato rischia di essere visto come puro intervento emergenziale. Forse sta passando il messaggio che il nostro ruolo non è solo riparativo, ma costruttivo per il benessere generale”. E sulla continuità di una programmazione statistica, riferisce che “…l’ultima rilevazione dell’Istat sul volontariato risale al 2003; quella sulle cooperative sociali al 2005; e i dati del censimento del no profit al 1999. Speriamo che si stiano mettendo in cantiere degli aggiornamenti”.

Un altro dato positivo si individua nell’ultimo Rapporto di Missione 2009 dell’Auser, associazione che rappresenta il ruolo attivo dei volontari anziani. I soci superano i 300 mila e i volontari sono aumentati del 20% rispetto al 2007.

mercoledì 10 novembre 2010

Tanti, organizzati e presenti dove c’è più bisogno: l’identikit dei volontari del Lazio


Sono più di un milione: una risorsa per le comunità locali. E Il 30% dei cittadini della regione ha effettuato donazioni nell’ultimo anno. Roma, 9 novembre 2010 – Sono più di un 1 milione i cittadini del Lazio che svolgono attività di volontariato. Si tratta del 22,1% delle persone con almeno 18 anni: il 29,3% dei più giovani di 18-29 anni, il 23,5% tra i 30-44enni, il 17% tra i 45-64enni e il 22,4% tra le persone con 65 anni e oltre. Rispetto al resto d’Italia, nel Lazio ci sono più volontari tra gli anziani. L’83,6% dei volontari è costituito da diplomati e laureati. È quanto emerge da una ricerca realizzata dal Censis su incarico dei Centri di servizio per il volontariato del Lazio Cesv e Spes e dal Comitato di gestione dei fondi speciali per il volontariato del Lazio, che ha analizzato il profilo dei volontari nella regione, il loro punto di vista e quello del resto dei cittadini sul volontariato laziale, a confronto con i dati relativi all’intero Paese. I volontari nel Lazio più coinvolti nelle iniziative delle organizzazioni, ma con un impegno meno costante rispetto al resto d’Italia. Nella regione più che altrove i volontari operano all’interno delle organizzazioni (il 79,4% nel Lazio, il 73,6% in Italia), piuttosto che in modo autonomo e informale (il 20,6% nel Lazio, il 26,4% in Italia). Ma sono di meno quelli che si impegnano con regolarità (il 70% circa nel Lazio, il 76% in Italia) rispetto a quelli che si impegnano di tanto in tanto (il 30% nel Lazio, il 24% in Italia). Nel Lazio i volontari si impegnano in media circa 6 ore alla settimana. Aiutare gli altri gratifica chi lo fa. Oltre il 91% dei volontari nel Lazio giudica positivamente la propria esperienza: il 49,7% perché trova l’attività gratificante e crede profondamente in quello che fa, il 41,4% perché incide concretamente sulla vita delle persone. Tra le motivazioni del fare volontariato prevale il richiamo all’altruismo (33,3%) e a ragioni ideali, etiche (24,4%), mentre il 19,3% si è dedicato agli altri a seguito di un’esperienza personale di sofferenza. I problemi: poche risorse, poca attenzione dalle istituzioni. La scarsità di risorse a disposizione (secondo il 38,9% nel Lazio), l’insufficienza del numero dei volontari (33,9%), la decrescente partecipazione dei giovani (22,3%) sono i principali problemi del volontariato nel Lazio. Rispetto al resto d’Italia, i volontari nella regione sottolineano come problema la mancanza di un adeguato riconoscimento da parte delle istituzioni (il 26,3% nel Lazio, il 16% a livello nazionale). Il punto di vista dei cittadini. Strutture sanitarie, dagli ospedali alle case di cura (secondo il 57,6% del campione), strutture socio-assistenziali come le case di riposo (35,9%) e il sostegno domiciliare (34,6%) sono gli ambiti in cui i cittadini del Lazio percepiscono maggiormente la presenza del volontariato nella loro zona di residenza. Seguono la protezione civile (20,3%), l’assistenza economica diretta (19,6%), l’animazione sul territorio (10,6%) e lo sport (10,5%) come ambiti in cui è più forte la presenza percepita dai cittadini del Lazio rispetto a quelli del resto d’Italia. La non autosufficienza (46,7%) è l’ambito in cui è giudicato più rilevante il contributo del volontariato, poi l’aiuto alle famiglie povere, il supporto ai ricoverati negli ospedali, agli ospiti delle case di riposo o di cura. Non è facile per i cittadini dare una definizioni di volontariato. Richiesti di indicare quale aspetto caratterizza di più il volontariato nella propria zona di residenza, quasi il 31% dei cittadini del Lazio (il 34% in Italia) non è stato in grado di rispondere. Quasi il 24% afferma che il volontariato dimostra che è possibile aiutare gli altri (il 23% circa in Italia), il 21% che favorisce i rapporti tra chi può aiutare e chi ha bisogno di essere aiutato, il 20,5% che garantisce servizi che altrimenti non ci sarebbero, mentre per oltre il 18% il volontariato è portatore di valori importanti come la solidarietà, la non violenza, la libertà e la tolleranza. Pur presente dove c’è più bisogno, per molti cittadini non è facile dare una definizione univoca di volontariato, perché c’è un deficit di comunicazione. Il volontariato fa, ma si racconta troppo poco. Cosa fanno i cittadini per il volontariato. Poco più del 30% dei cittadini del Lazio ha fatto, nell’ultimo anno, donazioni a specifiche organizzazioni, il 16,8% ha partecipato a manifestazioni di vario tipo e poco meno del 16% ha firmato petizioni promosse da organizzazioni di volontariato. Secondo i cittadini, in futuro sarà decisiva la funzione di educazione valoriale del volontariato (per il 42% nel Lazio e il 39,6% nella media nazionale), cioè la promozione della solidarietà e dell’altruismo tra le persone. Il 33,6% richiama la funzione di dare voce e visibilità alle persone più fragili e indifese, il 28,3% sottolinea la copertura degli aspetti del sociale poco presidiati dal sistema di welfare come le nuove forme di disagio. Del volontariato è importante lo stimolo alla responsabilizzazione individuale a fare le cose, piuttosto che a criticare senza muoversi (è l’opinione del 41,7% del campione), la capacità di offrire più servizi per tutti a costi più bassi (36,3%), la capacità di richiamare l’attenzione su problemi e soggetti altrimenti ignorati dai media e dai politici (33,4%). Questi sono i principali risultati della ricerca «Il futuro del volontariato: il caso del Lazio» presentata oggi a Roma dal Direttore Generale del Censis Giuseppe Roma e discussa da Cristina De Luca, Presidente Coge Lazio, Renzo Razzano, Presidente Spes, Emmanuele Francesco Maria Emanuele, Presidente Fondazione Roma, Gabriello Mancini, Presidente Fondazione Monte dei Paschi di Siena e Francesca Danese, Presidente Cesv. CENSIS – Centri di Servizio per il Volontariato del Lazio CESV e SPES ufficiostampa@spes.lazio.it - volontariato.lazio.it

lunedì 11 ottobre 2010

"I Have a Dream"


I have a dream that one day this nation will rise up and live out the true meaning of its creed: "We hold these truths to be self-evident, that all men are created equal."

I have a dream that one day on the red hills of Georgia, the sons of former slaves and the sons of former slave owners will be able to sit down together at the table of brotherhood.

I have a dream that one day even the state of Mississippi, a state sweltering with the heat of injustice, sweltering with the heat of oppression, will be transformed into an oasis of freedom and justice.

I have a dream that my four little children will one day live in a nation where they will not be judged by the color of their skin but by the content of their character.

I have a dream today!

I have a dream that one day, down in Alabama, with its vicious racists, with its governor having his lips dripping with the words of "interposition" and "nullification" -- one day right there in Alabama little black boys and black girls will be able to join hands with little white boys and white girls as sisters and brothers.

I have a dream today!

I have a dream that one day every valley shall be exalted, and every hill and mountain shall be made low, the rough places will be made plain, and the crooked places will be made straight; "and the glory of the Lord shall be revealed and all flesh shall see it together."2

This is our hope, and this is the faith that I go back to the South with.

With this faith, we will be able to hew out of the mountain of despair a stone of hope. With this faith, we will be able to transform the jangling discords of our nation into a beautiful symphony of brotherhood. With this faith, we will be able to work together, to pray together, to struggle together, to go to jail together, to stand up for freedom together, knowing that we will be free one day.

And this will be the day -- this will be the day when all of God's children will be able to sing with new meaning:

My country 'tis of thee, sweet land of liberty, of thee I sing.

Land where my fathers died, land of the Pilgrim's pride,

From every mountainside, let freedom ring!

And if America is to be a great nation, this must become true.

And so let freedom ring from the prodigious hilltops of New Hampshire.

Let freedom ring from the mighty mountains of New York.

Let freedom ring from the heightening Alleghenies of Pennsylvania.

Let freedom ring from the snow-capped Rockies of Colorado.

Let freedom ring from the curvaceous slopes of California.

But not only that:

Let freedom ring from Stone Mountain of Georgia.

Let freedom ring from Lookout Mountain of Tennessee.

Let freedom ring from every hill and molehill of Mississippi.

From every mountainside, let freedom ring.

And when this happens, when we allow freedom ring, when we let it ring from every village and every hamlet, from every state and every city, we will be able to speed up that day when all of God's children, black men and white men, Jews and Gentiles, Protestants and Catholics, will be able to join hands and sing in the words of the old Negro spiritual:

Free at last! Free at last!

Thank God Almighty, we are free at last!3

mercoledì 6 ottobre 2010

Er ministro novo

Er ministro novo

Guardelo quant'è bello! Dar saluto
pare che sia una vittima e che dica:
- Io veramente nun ciambivo mica;
è stato proprio el Re che l'ha voluto! -

Che faccia tosta, Dio lo benedica!
Mó dà la corpa ar Re, ma s'è saputo
quanto ha intrigato, quanto ha combattuto...
Je n'è costata poca de fatica!

Mó va gonfio, impettito, a panza avanti:
nun pare più, dar modo che cammina,
ch'ha dovuto inchinasse a tanti e tanti...

Inchini e inchini: ha fatto sempre un'arte!
Che novità sarà pe' quela schina
de sentisse piegà dall'antra parte!

1921 Trilussa

venerdì 24 settembre 2010

Sta a Riace il miglior sindaco del mondo?

Un’altra Calabria è possibile. Proprio abbarbicato sulle alture della Locride, terra di n’drangheta e di conflitti sociali aspri dove lo stato spesso latita, c’è un paesino, Riace, che è un miracolo di civiltà e che ha fatto della convivenza con gli stranieri la cifra della sua identità.

Rosarno, che dista poche decine di chilometri, è lontana anni luce da qui. Lontane sono le sue guerre tra poveri pilotate dalla criminalità organizzata, lontanissimi sono i calabresi che hanno perduto l’anima e sparano ai migranti, trattati come miserabili e sfruttati come schiavi.

Riace (conosciuto per il ritrovamento dei Bronzi), 1800 abitanti, di cui 250 immigrati, non è solo accoglienza di rifugiati politici. In un territorio infiltrato dalle ‘ndrine, e le cui bellezze naturali sono deturpate dagli scempi dell’abusivismo edilizio, si è imposta all’attenzione dei media nazionali e internazionali (Wim Wenders ha girato tra i suoi vicoli un corto, “Il volo” FOTOGALLERY) per la raccolta differenziata condotta con gli asini (per fare un paragone basti pensare che nel capoluogo calabrese, Catanzaro, la differenziata è un’utopia), per il borgo ripopolato con le botteghe artigiane, per la costituzione di un eco-villaggio, il “Riace- Village”, riproposizione di un villaggio rurale per l’ospitalità diffusa e per il turismo sostenibile, per il “Riace Film Festival”, la prima kermesse dedicata al cinema delle migrazioni.

Tutte idee partorite dal sindaco Domenico Lucano che per questo è stato nominato, unico italiano, tra i 23 finalisti del “World Mayor Prize”, premio per il miglior sindaco del mondo (la cui raccolta di voti si chiude in queste ore), assieme, per capirci, ai sindaci di metropoli come Città del Messico, Mumbai, ecc. Ma lui, Lucano, “Mimmo dei curdi”, come viene chiamato qui in paese, non si ispira a nessuno di questi, anzi, a parlare del premio si schermisce: «Mi mette un poco a disagio, io faccio solo il sindaco con l’impegno di un militante, non ho mai abbandonato le utopie di quand’ero studente».

Nessuna affiliazione ai partiti tradizionali: Lucano è stato eletto con la lista civica “Un’altra Riace è possibile” nel 2004, e poi riconfermato nel 2009. Il Pd dei notabili calabresi non lo ha appoggiato. Ma lui aveva dalla sua il consenso del paese. «Io sono di sinistra. Punto. Mi definisco del partito di Peppino Impastato, i valori a cui mi ispiro tutti i giorni nel fare l’amministratore sono l’uguaglianza sociale, la partecipazione e la trasparenza per togliere gli agganci negli appalti con la criminalità; chiamiamola, se volete, sinistra utopica».

In compenso le minacce delle famiglie degli “omini d’onore” non sono mancate. Due pallottole contro la Taverna delle Rose, ristorante recuperato da una casa abbandonata e dato in gestione a Città Futura, la sua associazione intitolata a Don Puglisi e infine l’avvelenamento dei suoi due cani. E il pensiero corre veloce ad un altro sindaco “speciale”: quell'Angelo Vassallo ucciso qualche settimana fa nel salernitano. «Certo le minacce, ma che significa che me ne devo andare? – dice lui sprezzante – che tutti ce ne dobbiamo andare? Io non ho paura, il mio messaggio è antitetico a quello della ‘ndragheta: da una parte loro, dall’altra noi. C’è una Calabria che vuole restituire dignità alla politica».

«Gli uomini d’onore, l’antistato, – continua Lucano – danno in qualche modo risposte più rapide alla crisi di occupazione del territorio e qui sta la mia scommessa, indicare uno sviluppo diverso dal turismo di massa e dai centri commerciali, uno sviluppo che si basa sull’identità dell’essere calabrese proprio in virtù dell’accoglienza dello straniero, valore antico che si tramanda da generazioni». Il paese, racconta ancora il primo cittadino, stava subendo la stessa sorte di tanti altri dell’Appennino calabrese, lo spopolamento per le migrazioni. «Ci sono più riacesi in provincia di Torino e in Sud America che qui».

E fu un giorno del luglio '98 che al sindaco, non ancora tale, venne l’idea. «Assistetti allo sbarco di 300 immigrati e capii improvvisamente che da problema potevano diventare la soluzione». Cominciò così a dare case a famiglie palestinesi, afghane, eritree, serbe, («tutti disperati in fuga da guerre e devastazioni, tanto abbiamo imparato noi riacesi da loro»), a insegnare loro i vecchi lavori artigianali della tradizione calabrese. Oggi addirittura il saldo nascite/decessi è positivo.

Grazie agli immigrati. E, sottolinea Lucano, «abbiamo riaperto la scuola elementare dove sono più i bambini stranieri che quelli italiani». Insomma quel che nelle periferie di Roma o Milano viene considerato come un problema di ordine pubblico, qui è considerato una risorsa, «è una forma di riscatto sociale». «La cosa che mi fa più felice? - conclude il sindaco – è i bambini sono tornati a giocare per le strade di Riace».
21 settembre 2010
di Luciana Cimino

venerdì 10 settembre 2010

Quando si dice “accoglienza”...

Ho usufruito, giorni fa, di un “Intercity”, quei treni che collegano medie e grandi città italiane.
Ho vissuto su quel treno per otto ore di fila ed ho gradito la disponibilità e cortesia del personale viaggiante, di questi tempi cosa di non poco conto.
Un ragazzo, salito con uno strumento musicale, veramente ingombrante con la sua bella custodia, ha ricevuto l'immediata assistenza del capo treno che, con cortese accoglienza, ha indicato il luogo dove collocare l'oggetto per non disturbare gli altri passeggeri ma anche per non lasciare che il proprietario fosse disturbato in ogni momento per il possibile intralcio sottolineando come “tormento” solo il pensiero se ciò fosse accaduto.
Immagino che Trenitalia, alla quale non si possono certamente scollare i gravi ed igienici problemi che si trascina dietro sul trasporto pendolari, investa sul proprio personale non solo sulle eleganti divise ma anche in formazione.
Arrivo notte tempo alla stazione di Monte S. Biagio e da esperto conoscitore degli usi locali a naso mi reco alla navetta che mi condurrà a Terracina che sta aspettando, a motore acceso, in un angolo buio del grande piazzale altrettanto buio.
L'autista, concentrato sulla Gazzetta dello Sport, non si accorge di chi sale e non risponde neanche a qualche timido “buonasera” .
Aspettate le coincidenze, stancamente ripiega il giornale e sempre con assordante silenzio chiude le porte e si avvia.
Appena imboccata la direzione Terracina due signore corrono di lato e chiedono che il pullman si fermi.
Si materializza la voce del conducente “scroccando” , come diciamo noi, un sonoro “San Catallo” ed indirizzando alle due epiteti inerenti al “lavoro su strada” più vecchio del mondo.
Svogliatamente il pullman si ferma e aperte le porte fa salire le due signore che immediatamente, in un garbato e ottimo inglese, ringraziano e si scusano.
Chiedono se il bus va a Terracina, ricevono solo un grugnito.
Arrivo a destinazione e nel scendere saluto e qualche pendolare che mi conosce mi sussurra:”Siamo stati sfortunati, c'è capitato il peggio tra i peggio”.
Immagino che Cotral Spa non abbia investito neanche un nichelino nella formazione del personale ritenendo che la patente sia sufficiente.

sabato 31 luglio 2010

L’ONU dichiara l’acqua “diritto umano universale”



L’Assemblea generale dell’ONU ha approvato lo scorso 28 luglio, a larga maggioranza, una risoluzione che riconosce l’accesso all’acqua potabile e ai servizi igienico-sanitari tra i diritti umani fondamentali. La storica risoluzione, su mozione presentata dalla Bolivia e da una trentina di altri paesi, sancisce che “l’acqua potabile e i servizi igienico sanitari sono un diritto umano essenziale per il pieno godimento del diritto alla vita e di tutti gli altri diritti umani”. L’accesso all’acqua potabile è entrato, quindi, ufficialmente a far parte della Dichiarazione dei Diritti Umani.

Alla votazione erano presenti 163 paesi dei 192 che costituiscono l’Assemblea Generale, 122 dei quali hanno votato a favore, nessuno contro e 41 si sono astenuti. Tra gli astenuti ci sono Canada, Regno Unito, Australia e Stati Uniti, che hanno motivato la loro decisione con il fatto che la risoluzione ONU potrebbe minare l’iter che è attualmente in corso a Ginevra – presso il Consiglio dei Diritti Umani – per costruire un consenso globale sui diritti all’acqua.

Il testo della risoluzione dell’ONU ribadisce come sul pianeta una persona su otto non abbia ancora accesso all’acqua potabile e come questa mancanza di accesso provochi la morte di tre milioni di persone ogni anno. Prosegue ricordando che 884 milioni di persone nel mondo non hanno accesso all’acqua potabile e che più di 2,6 miliardi di persone, per lo più neonati e bambini, non dispongono di infrastrutture igienico-sanitarie di base. I dati diffusi dall’ONU riferiscono che, ogni anno, oltre 1,5 milioni i bambini, di età inferiore ai 5 anni, muoiono per mancanza di acqua e che oltre 443 milioni di giorni di scuola vengono persi a causa di malattie legate alla qualità dell’acqua e alla mancanza di strutture igieniche.

Pertanto, l’Assemblea Generale – in seno alla risoluzione – invita tutti gli Stati membri e tutte le organizzazioni internazionali a fornire risorse finanziarie, tecnologie e competenze ai Paesi in via di sviluppo, affinché acqua potabile e servizi igienici di base siano garantiti a tutti. L’Assemblea, inoltre, ha anche confermato l’impegno degli stati membri a dimezzare, entro il 2015, il numero di persone sulla terra che non ha accesso all’acqua potabile.

Questa risoluzione costituisce un passo decisivo per affrontare in modo concreto il problema della scarsità delle risorse idriche e per svincolare l’acqua dalle logiche del mercato. Il diritto all’acqua era già stato inserito dall’Onu in alcune Convenzioni sui diritti delle donne, dei bambini e dei disabili, ma non era ancora stato dichiarato ufficialmente “diritto umano universale”.

La risoluzione, pur non avendo valore vincolante dal punto di vista giuridico, è stata accolta con grande soddisfazione da tutti i movimenti internazionali per la difesa del diritto all’acqua. Infatti, se si considera che in molti casi i testi delle risoluzioni dell’Onu hanno preceduto e indirizzato l’effettiva applicazione e la possibilità concreta di godere dei diritti universali, rappresenta più di una speranza. E vedremo se già dai prossimi appuntamenti (a partire da quello di settembre 2010 a New York sugli Obiettivi del Millennio fino al Forum Mondiale dell’acqua che si terrà a Marsiglia nel marzo 2012) questa risoluzione così importante troverà ulteriore rafforzamento a livello internazionale.

Scritto da Laura Pavesi – 30 luglio 2010 – 09:25
Per affrofondire : http://www.un.org/apps/news/story.asp?NewsID=35456&Cr=SANITATION&Cr1

mercoledì 7 luglio 2010



A Taracina jerta

Povera Vecchia mia, quanta pena
te dà 'sta fijjulanza scellerata,
che se da prima t'era affeziunata,
mo tutta te turmenta, t'avvelena.

Te vo vedè perduta, suffucata,
de sotte a la miseria e la munnezza,
pe fa sparì pe sempe la bellezza
che 'ncora t'è rumasta appeccecàta...

...Ma tu n'avè paura, Vecchia mia,
che chi tè core an piette e sentemente,
an campe scegnarà da cumbattente,
pe vence o pe murì, pe l'alma tia.

lunedì 5 luglio 2010

Non scherzate con il fuoco 2010


Non scherzate con il fuoco 2010
di Monica Rubino
Torna la campagna di Legambiente e Dipartimento della Protezione Civile per contrastare gli incendi boschivi in 500 località italiane. Cittadini, amministratori locali e volontari uniti in difesa del patrimonio forestale
Tutti insieme contro gli incendi. E’ questo l’impegno degli oltre 50.000 volontari che nei boschi di tutta Italia si sono impegnati in opere di prevenzione e salvaguardia per le aree verdi, minacciate ogni anno da incendi.

Oltre 500 le iniziative organizzate in tutta la Penisola dai volontari della protezione civile, gruppi scout, cittadini insieme agli agricoltori e ai cacciatori in occasione dell’VIII edizione di Non scherzate col Fuoco, la campagna nazionale di Legambiente e Dipartimento della Protezione Civile per contrastare gli incendi. Un’iniziativa che si avvale del patrocinio del Corpo Forestale dello Stato e della collaborazione degli Scout dell’Agesci insieme all’Arcicaccia, al Centro Sportivo e Attività per l’Ambiente, all’Associazione Nazionale dei Vigili del Fuoco in Congedo, alla Regione Marche e alla Regione Siciliana.

“Un’azione collettiva concreta che testimonia – spiega Simone Andreotti, responsabile Protezione Civile di Legambiente – il grande interesse e la voglia dei cittadini di diventare protagonisti nella difesa del territorio, costituito da aree di grande pregio ambientale e naturalistico, messo ogni estate a dura prova dal fenomeno degli incendi, con gravi conseguenze per la biodiversità e pericolo per i cittadini stessi”.

Non si scherza neanche con i dati. Secondo il Corpo Forestale dello Stato nel 2009 su tutto il territorio nazionale si sono registrati 5.422 incendi che hanno percorso una superficie di 73.355 ettari di aree forestali. Un bilancio relativamente positivo rispetto al 2008, con una riduzione degli incendi di circa il 20%. Una boccata d’ossigeno per il nostro patrimonio boschivo, un dato che mette in luce come il fenomeno incendi non sia più un’emergenza nazionale ma resti particolarmente grave in alcune regioni del Sud e nelle isole. Nell’ultimo anno solo in Sardegna è andato bruciato oltre il 50% di tutta la superficie nazionale percorsa dal fuoco.

I miglioramenti registrati sono dovuti sicuramente sia ad una maggiore consapevolezza da parte della società civile dei reali danni ambientali ed economici provocati dagli incendi, ma anche alle attività di controllo del territorio e alla sanzione dei reati condotte dal Corpo Forestale dello Stato. Nel 2009 la Forestale ha accertato 5.362 reati d’incendio, effettuato 187 sequestri, mentre sono stati identificati e denunciati 459 incendiari, e 17 persone sono state arrestate.

lunedì 21 giugno 2010



DA CHE PARTE STARE
DALLA PARTE DEL SINDACO DEL COMUNE DI CASIGLIANO (CE)
“Spesso i politici dicono e fanno cose con lo scopo di accattivarsi la simpatia dei cittadini elettori. Prestando molta attenzione a non urtare le sensibilità e le suscettibilità. Evitando scomodi argomenti che potrebbero far perdere qualche voto al loro partito.”
Si esprimeva così, qualche giorno fa, l’amico Domenico Finiguerra, sindaco di Cassinetta di Lugagnano (MI), nella sua splendida lettera aperta “Esiste un’altra Italia”.
Voleva far sapere al mondo intero, chiaro e tondo, il proprio stare dall’altra parte dell’intolleranza, dell’indiferrenza e della violenza verso TUTTI i diversi presenti oggi in Italia.
Verso l’odioso e agghiacciante proliferare di interventi di facciata che nascondono (neanche troppo bene) una politica razzista e vigliacca, volgare e gretta come la parte di società che vi si rispecchia fedelmente.
Si è espresso con parole nette, ferme, cristalline: l’esatto opposto del ciarlare quotidiano della politica nazionale, quella che va in onda a reti unificate da 15 anni e più ad oggi…
Quella di ometti avvinghiati anima e corpo a poltrone ormai logore e maleodoranti, di funzionari e leccapiedi al servizio del padrone di turno.
Quella stessa politica che per mano della Legge (e di un prefetto) mette sotto accusa un sindaco (e un amico) perché troppo virtuoso, sobrio e concreto nella gestione di un servizio come la raccolta dei rifiuti.
Il Sindaco si chiama Vincenzo Cenname, guida l’amministrazione del Comune di Camigliano (CE), comune virtuoso scelto dall’associazione nel novembre 2009 come sede per la cerimonia di premiazione della terza edizione del nostro Premio Comuni a 5 stelle.
E’ un comune con il 65% di raccolta differenziata, che fa il compostaggio domestico e ha abbassato la tariffa ai cittadini, che ha messo i pannolini lavabili al nido e raccoglie e recupera gli olii esausti.
E’ un comune che ha deciso di interrompere la cementificazione del territorio (e le odiose speculazioni edilizie conseguenti), che fa risparmio energetico montando le lampade a LED nel cimitero comunale.
E’ un comune che copia le buone idee ed esporta le proprie intuizioni grazie alla cassa di risonanza di questa sgangherata “famiglia” che siamo diventati negli anni. E’ un comune virtuoso, insomma, dove il buon senso fa rima con accoglienza e partecipazione, condivisione e concretezza.
In una provincia, quella di Caserta, dove la camorra e la politica vanno invece a braccetto e dove il Prefetto e le istituzioni locali e nazionali avrebbero il DOVERE di intervenire con mano ferma e senso di responsabilità.
Un Comune (Cenname è sostenuto dalla sua maggioranza e dalla comunità nel suo insieme) il cui sindaco non ha intenzione di retrocedere di fronte alla minaccia di commissariamento ricevuta a mezzo raccomandata dalla Prefettura.
“Consapevoli delle eventuali conseguenze, e guidati da uno spirito politico di onesto ed autentico servizio nei confronti della cittadinanza, non abbiamo alcuna esitazione a rimettere il nostro mandato politico, se azione politica non ci è più consentito di svolgere”.
Forse è proprio questa la pietra dello scandalo della nostra esperienza di comuni virtuosi: parliamo chiaro, agiamo in modo ancora più trasparente, diciamo una cosa e la facciamo, e cerchiamo nei limiti del possibile un coinvolgimento diretto e reale dei cittadini nel prendere decisioni che li riguardano.
Abbiamo un’idea della politica come un servizio reso alla comunità, a tempo determinato e non come professione.
Riteniamo le istituzioni (in primis quelle locali) come un luogo in cui agire il nostro essere cittadini di una comunità, con le nostre idee e i nostri sogni, le nostre speranze e convinzioni, certi che dal confronto e dalla contaminazione con l’altro passi la giusta sintesi che porta ad una comunità più sobria e sostenibile, inclusiva e partecipata.
Il silenzio assordante della politica nazionale e dei media rispetto a questa vicenda paradossale e assurda, ci ferisce e rincuora nel medesimo istante.
Perché vuol dire che stiamo vincendo, anche e soprattutto grazie a persone come Vincenzo Cenname o Domenico Finiguerra, Luca Fioretti e Ezio Orzes, Alessio Ciacci e Ivan Stomeo, Michele Bonanomi e Francesco Comotto, e i tanti altri amici che nei comuni virtuosi ogni giorno, senza clamore o proclami, ci dicono che un’altra Italia, e un altro modo di fare politica, esistono davvero.
Basta volerli vedere, basta scegliere da che parte stare!
Marco Boschini
Assessore del Comune di Colorno (PR), Coordinatore Associazione Comuni Virtuosi

leggi lettera inviata al Presidente della Repubblica

giovedì 17 giugno 2010

Sahara, 80 oasi rinascono grazie a un'antica tecnica


Ottanta oasi rinascono nel Sahara per festeggiare la giornata mondiale della lotta contro la desertificazione. L'iniziativa è stata finanziata dal governo regionale dell'Adrar, in Algeria, e promossa dall'Itki, l'Istituto per le conoscenze tradizionali che l'Unesco ha voluto collocare a Firenze. Si salveranno anche i graffiti paleolitici che con le loro immagini di elefanti testimoniano l'epoca in cui la zona non era deserto.

L'Algeria ha stanziato cinque milioni di euro per recuperare le foggara, vere e proprie "miniere" di acqua. E' una tecnica molto antica che si basa sulla capacità di estrarre acqua dall'umidità notturna: una rete di gallerie orizzontali corre sotto la superficie del deserto e cattura la condensazione che si forma sulle pietre. Questo metodo, in alternativa a pozzi sempre più profondi, evita di intaccare il capitale idrico delle falde di acqua fossile, quella che non si ricarica con le piogge. Inoltre l'opera di restauro sarà condotta, usando materiale tradizionale, da associazioni locali, le stesse che nel futuro continueranno a mantenerle in attività con consistenti vantaggi in termini economici, ambientali e di gas serra evitati.

Le 80 foggara recuperate serviranno a rivitalizzare altrettante oasi, circa un terzo di quelle esistenti nella regione. "Tra queste", spiega Pietro Laureano, presidente dell'Itki ed esperto di conservazione delle oasi, "ci sono oasi disposte come un nastro verde all'interno del Sahara, ma anche oasi isolate. La più importante è situata in un'area senza centri abitati o strade per circa 150 chilometri quadrati. Gli abitanti, 50 famiglie, hanno rifiutato di abbandonarla per andare a vivere in città: il restauro della foggara permetterà il mantenimento del palmeto che dà da vivere all'intero villaggio. In quest'area, tra l'altro, abbiamo trovato un graffito paleolitico in cui si vede una mandria di elefanti, a ulteriore dimostrazione del fatto che il Sahara 15 mila anni fa era una grande area verde".

La desertificazione è arrivata ormai a minacciare un quarto delle terre del pianeta e oltre un miliardo di abitanti nei 100 Paesi maggiormente interessati. La situazione più drammatica è quella africana, dove è a rischio il 73 per cento delle terre aride coltivate. Il Sahara, insomma, avanza e per fermarlo è spesso più conveniente ricorrere alle tecniche tradizionali che ai metodi che comportano alti costi economici ed energetici.

Fonte La Repubblica.it (17 giugno 2010)

venerdì 11 giugno 2010

Indigeni e foreste protette con il GPS



Sono finiti i tempi in cui le popolazioni indigene venivano facilmente raggirate e depredate dei loro averi: ora a venire in aiuto degli abitanti della foresta è la tecnologia, con un sistema di GPS che servirà a tracciare i confini dei loro territori, delicatissimi ecosistemi, da sempre minacciati dalla deforestazione e dagli interessi di governi e multinazionali.

L’esempio viene dalla popolazione pigmea della Repubblica Democratica del Congo, che abita da millenni nella foresta pluviale del centro Africa. Coadiuvati da Réseau ressources naturelles e Rainforest Foundation UK, hanno imparato ad utilizzare dispositivi GPS per mappare e proteggere le loro terre, habitat naturale di quest’etnia e fonte del loro sostentamento.

Sono moltissime le persone native del luogo, circa 660, ad essere state istruite a riguardo che, nei prossimi mesi, visiteranno oltre 100 villaggi, tracciando i confini di ruscelli, monti, terre ricche di alberi, creando mappe digitali per affermare il diritto a vivere nel loro territorio. Un’iniziativa forte, dunque, che nasce dall’intento di proteggere la foresta pluviale del Congo che è, per estensione, la seconda al mondo dopo quella amazzonica, utilizzando metodi che creino partecipazione e coinvolgimento con le popolazioni locali: il tutto per dire stop ai processi di depauperamento che hanno interessato queste zone, anche a causa delle recenti guerre civili che hanno interessato il Congo, con un fortissimo impatto sul modo di vivere delle popolazioni locali, e di fortissimi interessi industriali.

Rainforest Foundation nasce in Inghilterra nel 1989, ad opera di Sting e della moglie Trudie Styler. La difesa delle foreste pluviali, casa per migliaia di esseri umani, oltre ad essere veri e propri polmoni verdi per il nostro pianeta è la mission di questa fondazione no profit, che ha sede a New York. Nata nell’agosto del 2002, Réseau ressources naturelles opera, invece, specificatamente nel territorio della Repubblica Democratica del Congo e riunisce più di 300 associazioni locali e ONG che lottano per la conservazione delle risorse naturali e dell’habitat delle etnie del luogo.

Scritto da Isabella Berardi

lunedì 31 maggio 2010

Andrea Camilleri: «Sembra di vivere nel modo di Alice nel paese delle meraviglie»



«Alcune cose oggi vanno fatte per ripicca»! Con la sua tipica ironia Andrea Camilleri ha presentato oggi a Roma, nella bottega di Libera, il video per la raccolta fondi del 5x1000 dell'associazione antimafia. Di fronte ai prodotti coltivati nei terreni confiscati alle mafie non riesce a trattenere le sue critiche nei confronti dell'azione “antimafiosa” sbandierata ai quattro venti dal governo Berlusconi e dalla sua maggioranza.

Stiamo assistendo, sottolinea Camilleri, ad «un continuo tentativo, spesso riuscito, di ostacolare le libere iniziative della società civile per ostacolare le mafie». Vedendo «una buona parte delle leggi di questo governo -aggiunge - ad una mente malata volta al male come la mia viene da pensare: vai a vedere che dietro c'è un atto di favoreggiamento nei confronti delle mafie»? Basti pensare alla legge che prevede la vendita dei beni confiscati alla criminalità organizzata, poi, in parte, rientrata grazie alla forte protesta della società responsabile del nostro paese. Oppure, i tagli nei confronti delle spese per le forze dell'ordine.

Capita, così, di leggere sui giornali che «35 camorristi in carcere a Milano, che devono essere trasportati in tribunale, a causa del taglio del personale non possono essere scortati». Quindi, chiosa Camilleri, si rinviano i processi, e di rinvio in rinvio si arriva alla prescrizione. Oppure capita di leggere che dei «detenuti nel carcere di Trapani non possono essere trasportati in tribunale a Palermo perchè non ci sono furgoni a sufficienza per portarli». Sembra di sentir raccontare delle barzellette, ma si tratta di storie vere che quotidianamente impediscono a magistrati e forze dell'ordine un'efficace azione di contrasto alle mafie.

Può, infine, capitare di leggere che la legge sulle intercettazioni telefoniche ed ambientali è pensata per tutelare anche la privacy dei mafiosi. «Sembra di vivere nel mondo di Alice nel paese delle meraviglie», commenta Camilleri. Quella sulle intercettazioni è una legge «a favore dei mafiosi per le difficoltà che impone ai giudici». Tuttavia, aggiunge, non bisogna cadere in errore: «il vero scopo della legge è di impedire che le intercettazioni siano fatte. Lo scopo secondario è di impedirne la divulgazione». Quindi è prima di tutto un attacco nei confronti della magistratura e degli organi inquirenti, e in seconda battuta alla libertà di stampa.

Infine, una frecciata al Corriere della Sera che nel magazine Sette dello scorso venerdì aveva duramente criticato Camilleri e i suoi romanzi. «Malgrado che il mio Montalbano viene accusato di essere colluso con la mafia, al pari di Andreotti, Dell'Utri e Contrada, il suo autore non è colluso».

Nei confronti di questo Governo «alcune cose oggi vanno fatte per ripicca», impegnandosi in prima persona in una direzione opposta e contraria a quella dettata da Arcore...

domenica 30 maggio 2010

La crisi, i giovani e le ombre del ceto medio

di Francesco Gloriani

Tempi duri, stringere la cinghia, lacrime e sangue, “manovrone” e via dicendo: così l’informazione dipinge la crisi finanziaria dilagante che fa soccombere un po’ tutti: le imprese, le banche, le famiglie, la finanza, persino i governi, e adesso anche l’euro. Eppure qualcuno è stato salvato, così come molti sono stati mandati ancora più a fondo. A ricordarcelo sono le cifre del Rapporto sui diritti globali 2010: un progetto ideato e realizzato dall’Associazione SocietàINformazione (una onlus attiva sui temi sociali), promosso e sostenuto dalla Cgil, e a cui aderiscono anche ActionAid, Antigone, Arci, il Coordinamento Nazionale delle Comunità di Accoglienza, la Fondazione Basso, il Forum Ambientalista, il Gruppo Abele e Legambiente.

Lapidaria la nota di presentazione: «Viviamo in una società sempre più spaventata del futuro, in cui i legami sociali sono sempre più deboli e quindi più fragile la sua coesione. Crescono l’individualismo e l’antagonismo laddove servirebbero relazioni e solidarietà». Emerge un ceto medio sempre più povero. Questo perché «l’inevitabile corrispettivo e conseguenza del too big to fail, del troppo grandi per fallire, è che vi sono i troppo piccoli, troppo deboli e troppo senza potere per essere aiutati. Anzi, sono loro a essere costretti ad aiutare i grandi – grandi e voraci – attraverso l’eterno gioco fondato sulla privatizzazione dei profitti e sulla socializzazione delle perdite». Un giudizio troppo ideologico? Ci sono numeri e percentuali che lo sostengono. Limitandosi all’Italia, i dati parlano per il 2008 di 2.737.000 famiglie (l’11,3% del totale) in condizioni di povertà. Con il ceto medio in bilico, pronto a raggiungere la parte più svantaggiata della popolazione: «1,8 milioni di famiglie giovani, a reddito medio-alto soffrono a causa del mutuo per la casa, che porta il 56,5% di loro ad arrivare con difficoltà alla fine del mese, il 54% a non poter accantonare un solo euro».

E ancora: «Nel 2009 le famiglie italiane si sono indebitate per 524 miliardi di euro, più del 2008: 21.270 euro per ogni cittadino. Per i lavoratori dipendenti, il debito annuo è di 15.900 euro, il 79,4% per la casa e il resto per consumi diversi». Pensare che un tempo gli italiani erano un popolo di risparmiatori, e il risparmio era tale da costituire una barriera di protezione contro le crisi finanziarie. Adesso questo risparmio s’è dissolto. Tra le ragioni principali ci sono i salari troppo bassi, al palo da un decennio: «Avere un lavoro non protegge dall’impoverimento. Più di 13,6 milioni di lavoratori guadagnano meno di 1.300 euro netti al mese, di cui 6,9 milioni meno di 1.000». In sei anni, tra il 2002 e il 2008, «il reddito netto familiare ha perso ogni anno 1.599 euro tra gli operai, 1.681 euro tra gli impiegati». E quindi, nel 2009 «il 10% degli occupati è sotto la soglia della povertà (un dato tra i peggiori dell’Unione Europea, che conta in media l’8%)». Nel 2007 la percentuale era dell’8,6%. Sono quelli che le statistiche definiscono «working poor», poveri con un’occupazione, solo un po’ meno poveri dei disoccupati.

Il Rapporto annuale dell’Istat 2009 completa il quadro: ultimi tra gli ultimi sono sempre di più i giovani. Su di loro cresce il peso di una società sempre più sbilanciata dalla parte degli adulti. E il disagio aumenta se parliamo di famiglie giovani, e con figli. Per i giovani solo lavoro precario e spesso mal retribuito, se va bene. Perché c’è chi sta ancora peggio: sono coloro che l’Istat indica con l’acronimo Neet, che significa not in education, employnment or training (non lavorano, non studiano, non si formano). I Neet nel 2009 sono arrivati a oltre due milioni, il 21,2% dei 15-29enni. Semplicemente, stanno a casa e a carico dei genitori. Eppure – la stessa Istat lo ricorda – su tutti loro graverà un paese che nei prossimi 40 anni vedrà «crescere la speranza di vita fino a raggiungere gli 84,5 anni per gli uomini e gli 89,5 per le donne; il numero dei giovanissimi fino a 14 anni ridursi a 7,9 milioni (appena il 12,9% della popolazione); la popolazione attiva contrarsi a 33,4 milioni (54,2% di quella totale) e quella degli over 64 salire a 20,3 milioni (da uno su 5 a uno su 3 residenti nel 2050). In sostanza, «l’indice di dipendenza degli anziani potrebbe raddoppiare».

Cosa fare? C’è ancora la possibilità di invertire la rotta, di “non sprecare una buona crisi”, come alcuni economisti ed esponenti politici hanno suggerito negli ultimi mesi? Il Rapporto sui diritti globali 2010 ha una sua ricetta: «Uno dei principali punti di forza di un nuovo modello di sviluppo economico deve essere la convergenza fra reti di imprese sul territorio e reti telematiche. Questo non è un processo spontaneo, ma va perseguito con politiche mirate al recupero del ritardo strutturale del nostro paese nell’adozione di tecnologie innovative. L’Italia ha bisogno di un progetto forte anche sulle nuove frontiere della green economy, delle biotecnologie e della salute, delle infrastrutture materiali per una migliore mobilità e di quelle immateriali, costituite da reti relazionali complesse tra istituzioni, cultura, economia, ecologia e comunità locali». E per protagonisti i giovani, si spera.

sabato 22 maggio 2010

Il potere della parola

Da molto tempo, ormai, le parole si mostrano usurate dalla marea montante della comunicazione; la parola letteraria, in particolare, dissipata in mille travestimenti e umiliata dalla forza delle immagini, ha preso la strada dell'intrattenimento sempre più effimero e tranquillizzante. Come in ogni processo di assuefazione, gli scrittori reagiscono in vari modi: con un'escalation di contenuti hard, o con formalismi stuzzicanti, o gareggiando col cinema.

Walter Siti da "Saviano e il potere della parola".

venerdì 21 maggio 2010

Auto elettriche, verso la ricarica europea


Auto elettriche, verso la ricarica europea
di Erika Tomasicchio
L'Unione europea interviene a sostegno del veicolo del futuro. Una risoluzione approvata in questi giorni propone di stabilire uno standard per la ricarica comune a tutti gli stati membri
Spostarsi per l’Europa rispettando l’ambiente, magari a bordo di un’auto elettrica. Le automobili alimentate a batteria sono un mezzo di trasporto ecologico, ma ancora poco diffuso. Ora il Parlamento europeo interviene a sostegno del veicolo del futuro. Una risoluzione approvata in questi giorni propone di stabilire uno standard europeo per la ricarica. Un sistema di
tecnologie e infrastrutture comuni a tutti i Paesi dell’Unione che, se sarà attuata, entro il 2011 permetterà ai possessori di vetture elettriche di viaggiare su tutto il territorio comunitario rifornendosi facilmente d’energia.

Gli automobilisti dell'Unione potranno fare il pieno allo stesso modo Bruxelles così come a Parigi e a Milano. La risoluzione chiede inoltre che l’Ue sostenga la ricerca tecnologica in materia. I nuovi standard di ricarica sono visti come il primo passo per la creazione di un mercato comune dell’auto elettrica oltre che un ottimo sistema per ridurre le emissioni di Co2 e contribuire alla lotta all’inquinamento e al cambiamento climatico. I dati della strategia sull’auto appena approvata dalla
Commissione europea rivelano che entro dieci anni il numero di auto in circolazione sarà pressoché raddoppiato.

Da 800 milioni di macchine tuttora esistenti si passerà a 1,6 miliardi di veicoli. In questo quadro un ruolo chiave spetterà ai governi dei vari Paesi membri. Secondo la proposta del Parlamento “Ogni Stato dovrà sostituire i veicoli pubblici con mezzi elettrici, mentre l'Unione europea dovrà introdurre le infrastrutture non appena gli standard saranno stati definiti. Infine – si legge in una nota - la risoluzione invita la Commissione a fornire un calcolo globale delle emissioni complessive di CO2 dei veicoli elettrici e sottolinea tenuto conto che l’introduzione di standard comuni non dovrà ostacolare ulteriori innovazioni nel settore dei motori dei veicoli convenzionali”.

mercoledì 19 maggio 2010

La Comunicazione ambientale. Analisi di un caso concreto: la raccolta differenziata

Progetto I.S.A.

Interventi per la Sostenibilità Ambientale

“La Comunicazione ambientale. Analisi di un caso concreto: la raccolta differenziata”

di Maurizio Maione

ABSTRACT

Le attività di comunicazione di un soggetto pubblico o di un qualsivoglia organismo o azienda, non possono essere improvvisate secondo le necessità del momento.

Esse devono essere pensate e ragionate, organizzate in un programma che consenta di ottenere, oltre che il massimo risultato da ogni azione, anche le massime sinergie tra le diverse azioni di comunicazione.

Nell’organizzazione della raccolta differenziata un posto di rilievo spetta alle attività di informazione e promozione di comportamenti corretti da parte dei cittadini e di altri utenti. Nello stesso tempo un comune o un’azienda può capitalizzare le tante iniziative di comunicazione che i consorzi di filiera e lo stesso Conai vanno realizzando (con sempre maggior intensità) in questi anni.

Il documento, che qui si propone in abstract, non rappresenta un trattato completo su come organizzare una campagna di comunicazione per sensibilizzare i cittadini sulla raccolta differenziata. Vuole essere un insieme di appunti, fatti da un operatore che da anni lavora nel settore della comunicazione, per ricordare alcune regole base, segnalare alcuni strumenti che si sono dimostrati validi e suggerire alcune attenzioni.

Il relatore parte dalla definizione di un piano di Comunicazione. Ogni iniziativa o nuovo servizio dovrebbe sempre essere accompagnato da un piano di comunicazione, quel documento, cioè, che raccoglie l’analisi dello scenario, la scelta dei target, gli obiettivi, le strategie, le azioni, il budget e la tempificazione delle azioni.

Il documento affronta gli step che portano alla sua redazione: dalla definizione degli obiettivi e della strategia della comunicazione, all’individuazione delle diverse categorie dell'universo dei pubblici di riferimento, delle funzioni e del ruolo di ognuna di loro nel sistema di comunicazione generale, all’elaborazione del Piano operativo, all’identificazione delle iniziative di comunicazione più diffuse ed efficaci per il successo di una campagna di informazione sulla raccolta differenziata.

La prima cosa da fare è definire in modo chiaro quali sono gli obiettivi di comunicazione. Tali obiettivi, dai quali deve dipendere la strategia di comunicazione, non sono, ovviamente, quelli statutari, bensì quelli di breve periodo, definiti normalmente nel progetto, in modo da indirizzare l’attività verso determinati settori, aree e risultati (valorizzazione dell'attività e dei risultati conseguiti; creazione di una identità e rafforzamento dell'immagine; aumento della visibilità; creazione di canali costanti di comunicazione verso l'esterno, in particolare verso alcune categorie di pubblici di riferimento).

Lo step successivo tenta di riformulare in categorie l'universo dei pubblici di riferimento, considerando quale possa essere (o diventare) la funzione e il ruolo di ognuno di loro nel sistema di comunicazione generale:

• I moltiplicatori potenziali della comunicazione (i media; l'associazionismo ambientalista; gli assessorati all'ambiente degli Enti territoriali; gli Enti e gli Organismi istituzionali di riferimento);

• Gli 'utenti' (il mondo industriale, le sue associazioni e confederazioni; la grande distribuzione e il commercio; gli operatori privati e il terziario dei servizi ambientali; le aziende municipalizzate e le loro confederazioni; le associazioni dei consumatori; la pubblica amministrazione in generale);

• Gli altri soggetti (i sindacati; le associazioni professionali; il mondo accademico e della ricerca; la scuola; le famiglie.

Vengono descritte, poi, le caratteristiche e le regole che deve possedere la strategia di comunicazione (essere consequenziale e funzionale agli obiettivi dell’Ente e al piano strategico del progetto che si vuole comunicare; essere articolata in un piano di azioni e strumenti che rispondano a criteri di efficacia ed economicità; valere per un arco temporale sufficientemente lungo per poter raccogliere i risultati; essere costruita attorno ai messaggi che si vogliono comunicare; ecc.). E ci si sofferma su:

• l’importanza del coordinamento delle attività di comunicazione necessaria per assicurare uniformità dei messaggi e dello stile ed evitare duplicazioni, sovrapposizioni o, peggio, messaggi contradditori o addirittura controproducenti;

• la necessità di una costante e aperta collaborazione tra l’Ente e gli altri partner (nel settore della Raccolta differenziata sono sempre auspicabili) al fine di consentire di valorizzare adeguatamente tutto il patrimonio di informazioni, conoscenze e novità che, spesso, non viene adeguatamente sfruttato.

Il passaggio immediatamente successivo alla strategia di comunicazione è l’elaborazione del cosiddetto Piano Operativo: un documento che definisce nel dettaglio le caratteristiche di ogni azione o strumento di comunicazione individuate dalla strategia, articolando la programmazione temporale:

a) delle attività necessarie per realizzare ogni singola azione/strumento (pianificazione necessaria ad organizzare il lavoro all’interno della funzione e tra le funzioni aziendali);

b) di tutte le azioni/strumenti da realizzare (pianificazione necessaria per distribuire nel tempo le risorse umane ed economiche, per calibrare le sinergie tra le azioni, per avere la visione d’insieme della strategia di comunicazione delineata).

Infine, il documento descrive le iniziative di comunicazione più diffuse ed usate, mettendo in rilievo criticità ed attenzioni.

In particolare si sofferma su:

1. le iniziative di ufficio stampa e relazione con media;

2. la produzione editoriale e audiovisiva;

3. la diffusione mirata di documentazione;

4. l’organizzazione di eventi, di convegni e di incontri mirati;

5. l’organizzazione di presenze a manifestazioni espositive;

6. la pianificazione e la realizzazione di campagne pubblicitarie su progetti specifici;

7. iniziative di relazioni pubbliche.


Leggi la versione integrale del documento distribuita nel corso delle attività formative del progetto I.S.A.


domenica 9 maggio 2010

Anche voi foste stranieri.




Generalmente sono di piccola statura e di pelle scura. Non amano l’acqua, molti di loro puzzano perchè tengono lo stesso vestito per molte settimane. Si costruiscono baracche di legno ed alluminio nelle periferie delle città dove vivono, vicini gli uni agli altri. Quando riescono ad avvicinarsi al centro affittano a caro prezzo appartamenti fatiscenti. Si presentano di solito in due e cercano una stanza con uso di cucina. Dopo pochi giorni diventano quattro, sei, dieci. Tra loro parlano lingue a noi incomprensibili, probabilmente antichi dialetti.
Molti bambini vengono utilizzati per chiedere l’elemosina ma sovente davanti alle chiese donne vestite di scuro e uomini quasi sempre anziani invocano pietà, con toni lamentosi e petulanti. Fanno molti figli che faticano a mantenere e sono assai uniti tra di loro. Dicono che siano dediti al furto e, se ostacolati, violenti.
Le nostre donne li evitano non solo perchè poco attraenti e selvatici ma perchè si è diffusa la voce di alcuni stupri consumati dopo agguati in strade periferiche quando le donne tornano dal lavoro. I nostri governanti hanno aperto troppo gli ingressi alle frontiere ma, soprattutto, non hanno saputo selezionare tra coloro che entrano nel nostro paese per lavorare e quelli che pensano di vivere di espedienti o, addirittura, attività criminali…

(Ottobre 1912 – Dalla relazione dell’Ispettorato per l’Immigrazione del Congresso americano sugli immigrati italiani negli USA)


Anche voi foste stranieri. L'immigrazione, la Chiesa e la società...
di Don Antonio Sciortino (Direttore di Famiglia Cristiana)


L'immigrazione costituisce una risorsa preziosa per l'Italia: in questo libro troviamo tutte le cifre del contributo al benessere del Paese. E le tante storie del lavoro di persone che occupano i più diversi settori produttivi. Ma anche tante storie di sfruttamento, emarginazione e discriminazione. Purtroppo alimentate da prese di posizione di una parte della classe politica: la Lega ma anche a volte lo stesso Presidente del Consiglio Berlusconi. Contro questa ondata xenofoba, Don Sciortino ha condotto negli ultimi anni una vibrante e argomentata campagna di opinione sul settimanale che dirige, il più venduto nell'ambito cattolico. Campagna che ha provocato accese discussioni e attacchi anche violenti, per il modo chiaro e netto in cui Sciortino ha affrontato il tema. Come fa anche in questo libro, scritto con uno stile brillante e incisivo, ricco di storie e personaggi, che documenta l'intero spettro delle posizioni assunte dalla Chiesa, da quelle del Papa agli interventi dei missionari.

venerdì 7 maggio 2010

Wi-fi all'Umberto I, 14 hot-spot per pazienti, personale e visitatori

Internet gratis e senza fili arriva al policlinico Umberto I: da oggi la copertura Wi-fi della Provincia di Roma raggiunge anche l'ospedale romano nel quale sono stati installati 14 hot-spot. La rete assicura una copertura non sono all'interno degli edifici del policlinico, ma anche in tutti i viali e le aree pubbliche all'aperto della struttura: la diffusione del wi-fi darà un servizio a 20 mila persone al giorno. Si tratta della prima struttura pubblica in cui entra la tecnologia di connessione. Tra 10 giorni verrà attivata al Regina Elena e poi al parco dell'Appia Antica, mentre al Pantheon il servizio sarà potenziato.

Con quelli inaugurati oggi salgono a 254 i punti di accesso ad internet gratis e senza fili installati fino ad oggi dall'amministrazione provinciale: 158 nella capitale e 96 nella provincia. Entro la fine del 2010 i punti saranno 500.

(06 maggio 2010) La Repubblica

giovedì 6 maggio 2010

Teramo vara la eco-giunta tutti in bici, dal sindaco in giù

TERAMO - La mobilità sostenibile prima di tutto. Il sindaco di Teramo Maurizio Brucchi (Pdl) l'ha presa sul serio. E così ha bandito l'uso delle automobili per tutti i responsabili dell'amministrazione comunale. Che d'ora in poi si muoveranno in città a bordo di biciclette blu. E' questa l'iniziativa lanciata dal primo cittadino del comune abruzzese che ha firmato il Patto dei Sindaci della Commissione europea per raggiungere gli obiettivi Ue del 20-20-20. Brucchi si è rimboccato le maniche per rispettare i criteri stilati da Bruxelles sullo sviluppo sostenibile della mobilità. E "per spingere anche i cittadini a muoversi su due ruote - ha spiegato - partirà a breve un progetto di affitto condiviso delle biciclette".

Che Teramo fosse luogo sensibile alle tematiche green era già cosa nota. Ne è prova, ad esempio, il fatto che tutte le scuole pubbliche sono già dotate di impianti fotovoltaici. E c'è dell'altro. Alla vigilia della cerimonia del Patto dei Sindaci, in cui amministrazione comunali, provinciali e regionali sottoscriveranno l'impegno a percorrere la via del risparmio energetico, della riduzione delle emissioni e dell'utilizzo delle rinnovabili, tutti i rappresentanti della Regione Abruzzo, dei comuni e delle province si sono ritrovati nella sede di Bruxelles per fare il punto della situazione.

Un incontro, questo, dal quale sono emerse nuove iniziative "sostenibili". Come quella messa in campo a Chieti dove, sempre con un occhio alla mobilità, il Comune, grazie a un finanziamento regionale, realizzerà un sistema di rotonde per evitare le enormi quantità di emissioni prodotte dagli autoveicoli fermi ai semafori.

mercoledì 5 maggio 2010

Incentivi per l’auto. E per il matrimonio?

di Paola Springhetti

In Italia, c’è un modo tranquillo e sicuro di scivolare verso la povertà ed è quello di mettere su casa. Dice l’Istat che nell’ultimo trimestre del 2009 il reddito delle famiglie è diminuito del 2,8% rispetto allo stesso periodo del 2008, e la spesa dell’1,9%. Ma il calo del potere di acquisto dei nuclei familiari è iniziato ben prima della crisi del 2009. Dice l’Istat che già nel 2008 era cresciuta la quota di famiglie che dichiarava di arrivare alla fine del mese con molta difficoltà (17%); di quelle che non riuscivano a pagare le bollette (12%) e gli abiti necessari (18,2%) o che erano in arretrato con il pagamento del mutuo.

L’Istat attesta pure che la casa si porta via il 30% sul reddito delle famiglie più povere, alle quali quindi rimane poco per tutto il resto. Dice poi che il 17,2% dei nuclei vive in condizione di sovraffollamento, e che sono quelli più numerosi a soffrirne. Dice che nel complesso sono maggiormente in difficoltà le famiglie monogenitoriali con figli minori (29,3%) e le coppie giovani.

Dice, sempre l’Istat, che nel 2008 sono stati celebrati in Italia 246.613 matrimoni, quasi la metà rispetto al 1972. Dice anche che, almeno in parte, questa istituzione è salvata dagli stranieri: ormai nel 15% dei casi almeno uno dei due sposi è di cittadinanza non italiana.

La famiglia italiana è come un castello di carte: se ne sfili una, crolla tutto. Una carta spesso sfilata è la separazione, che fra l’altro provoca molto spesso povertà (delle donne sole con i figli, ma anche dei padri separati che non riescono a mantenere due case) e rottura delle reti familiari, che restano il miglior ammortizzatore sociale.

Un’altra carta è la non volontà o l’incapacità di sostenerla per quanto riguarda il “costo” dei figli. Tra i gruppi più a rischio di povertà ci sono infatti le famiglie numerose.

Una carta ancora è la perdita di potere d’acquisto, così come il costo delle case, non importa se di proprietà o in affitto.

Sarà per questi motivi che non ci sposa più? Forse il vero motivo per cui non ci sposa è un altro: è che il matrimonio e i figli non sono collocati tra le cose da valorizzare, nella vita dei singoli e della società. Nozze e bambini non danno ruolo sociale, prestigio, successo. Non sono status symbol. Sono solo intesi come oneri senza onori.

Se il matrimonio e la famiglia fossero importanti, si troverebbero idee, politiche, fondi per sostenerli. Economicamente, per cominciare, e poi culturalmente e su tutti gli altri piani della vita. Dopo gli incentivi per le auto e quelli per le lavatrici, dunque, gli incentivi al matrimonio? Non si tratta di questo, ma del fatto che nessuno si preoccupa seriamente se non ci sposa più.

Recentemente, due amministrazioni comunali del Nord Italia hanno adottato provvedimenti discriminatori nei confronti di alcuni bambini delle scuole elementari i cui genitori non pagavano la mensa. Questo è un fatto: è più facile punire le famiglie che sostenerle.

(Questo articolo è tratto da Segno n.5-maggio 2010)

I ragazzi di via Padova

Per chi non è di Milano, ecco una descrizione del posto che Google Map se la sogna. “Lambrate è vicina a via Padova, zona contigua. In mezzo, il Casoretto, che è come l’Alsazia per la Francia e la Germania. In queste strade c’è anche adesso l’eroina, sommersa, un traffico parallelo e minore. Non visibile, c’è qualcuno che si è specializzato e coltiva il mercato di nicchia. Albanesi affezionati alla via della seta – quella dei tir turchi – hanno mantenuto buoni contatti poi la voltano a marocchini e tunisini, finché arriva alle vene”.

Ora allarghiamo, ma non troppo. Siamo in via Padova, quella che ogni tanto finisce nelle cronache per gli scontri tra sudamericani, le risse scoppiate per motivi oscuri dei cinesi, le retate degli spacciatori africani, i blitz dei Nas nelle pollerie peruviane, i caroselli degli egiziani che battono l’Italia alla Confederations Cup e bloccano Milano. Per il resto, tutto quello che succede, e succede di tutto tutti i giorni, non finisce neanche in cronaca di Milano. Tanto là, si sa com’è: finché si ammazzano tra di loro. Matteo Speroni ha scritto I diavoli di via Padova, una panoramica su uno dei quartieri più global d’Italia. Dove gli italiani lavorano in gelaterie gestite da cinesi, i tunisini bevono birra dal mattino ma diventano serissimi se si parla di religione e i ballatoi delle case di ringhiera si dividono per piano, etnia e condizione sociale partendo dai sottoscala dove battono i travestiti.

L’affannarsi sotto il cielo di questo spicchio di umanità è visto con gli occhi di un protagonista a cui non succede niente. Una cosa gli è successa tanto tempo fa, un’altra gli succede alla fine del libro. Un mondo abitato da poveri diavoli che cercano di arrivare a sera senza farsi troppo male, rassegnati alla violenza che può arrivare da ogni parte, ma soprattutto da quel mondo esterno che si crede così superiore sotto forma di poliziotto, infermiere, netturbino anche. E da finti angeli, imbevuti della dottrina che sta somministrando una veloce eutanasia alla cultura di quello che un tempo era Nord del nostro paese, Milano in testa. Come la signora Turco e famiglia che odia gli stranieri e dice che li farebbe a pezzi tutti, li vuole uccidere. Ma quando si è sposato il figlio, lei gli ha regalato l’effigie d’oro della Madonna e tutta la famiglia sull’uscio a baciarla, i crociati del terzo millennio.

In mezzo a tutto questo, squarci di poesia. Merita la descrizione di un vecchio milanese doc, finito in via Padova reduce a se stesso. “Loggionista, anarchico, libero e solo. Direttore di un’orchestra di fantasmi, anche lui ha costruito Milano, molto più di una genia di costruttori. Il cuore in mano, la mano che trema, la voce ferma, la voglia e la paura di morire”.

I diavoli di via Padova di Matteo Speroni (Cooper, 12 euro)